Il soldato Tom Cruise ricomincia da capo

L’immaginario visivo e narrativo di Edge of Tomorrow è un lungo déjà vu, che però si guarda piacevolmente perché gestito con mano sapiente. C’è inoltre un’interessante vicinanza con le dinamiche dei videogame, forse l’aspetto più curioso della pellicola. Partiamo però da chi siede dietro la cinepresa.

Nessun regista prescinde dai film che l’hanno preceduto, ma c’è chi scopiazza senza personalità, chi rielabora con dignità e chi assorbe, metabolizza e su queste basi costruisce uno stile originale. Doug Liman appartiene alla schiera dei rielaboratori e il fatto che stia un passo dietro i giganti non sminuisce le sue qualità artigianali. È merito suo se Edge of Tomorrow non è un insulso patchwork adagiato sull’immaginario altrui, che pure è evidente. Di fatto, Liman non era così in forma dai tempi di The Bourne Identity (2002).

Il secondo punto a favore della pellicola è costituito dal terzetto di sceneggiatori formato da Christopher McQuarrie e dai fratelli Jez e John-Henry Butterworth. Anche qui il punto di partenza è già visto: Ricomincio da capo (Harold Ramis, 1993) e Source Code (Duncan Jones, 2011) hanno utilizzato il medesimo espediente narrativo. Nel primo caso Bill Murray era costretto a rivivere continuamente il medesimo giorno per imparare a essere un uomo migliore e meritarsi l’amore; nel secondo caso Jake Gyllenhaal doveva sventare un attentato e conquistare l’amore. In Edge of Tomorrow Tom Cruise deve diventare il soldato definitivo e, sorpresona, trovare l’amore.

Gli sceneggiatori sono però abili nella gestione della narrazione, perché intrecciano con perizia i loop temporali e le informazioni aggiuntive che di ripetizione in ripetizione mandano avanti la trama. E prima che il gioco cominci a stancare, consentono ai protagonisti di superare l’empasse iniziale per condurci in territori nuovi, dove raccontarci non più i primi tentativi incerti bensì i momenti in cui le decisioni cruciali devono essere prese. Il meccanismo funziona molto bene.

Peccato per un finale appiccicato, di quelli che ti senti preso in giro, come se noi spettatori non potessimo sopportare una conclusione un po’ meno positiva. E visto che questo è il paragrafo delle critiche, bisogna sottolineare l’assurdità di una carneficina con un tasso di sangue ridotto a zero. D’accordo che Edge of Tomorrow predilige i toni comedy, ma l’assenza di momenti “gore” è chiaramente dettata della volontà di dribblare il divieto di visione per i più giovani, cosa che assomiglia molto al trattarci come bimbi scemi. La presenza di personaggi stereotipati, invece, non mi pare figlia di scrupoli commerciali quanto piuttosto della scelta di realizzare un’action comedy con struttura a incastro: l’esito non è obbligato, perché lo stereotipo si poteva evitare, ma l’intenzione è più nobile.

Ciò detto, l’aspetto più curioso è la vicinanza con le logiche trial and error dei videogame. Gli alieni che Tom Cruise deve affrontare sono la versione sovreccitata delle sentinelle di Matrix, e la prima battaglia avviene in circostanze talmente disperate che morire male sembra l’unica opzione credibile. Nonostante l’assenza di sangue, il regista Doug Liman riesce infatti a rendere l’idea di una situazione senza scampo, superabile soltanto continuando a morire finché non ricordi la posizione di ogni singolo nemico sul campo di battaglia e puoi agire di conseguenza.

È come essere di fronte a uno sparatutto in cui gli sviluppatori hanno sbagliato qualcosa e al giocatore non viene data la possibilità di far valere il proprio acume tattico e la propria prontezza di riflessi: può solo continuare a ripartire dal punto di salvataggio fino a quando non ha memorizzato l’unica via d’uscita dal caos. In Edge of Tomorrow questa dinamica non è un difetto, perché è fondamentale che lo spettatore accetti la necessità del loop temporale: nessuno potrebbe infatti sopravvivere senza l’esperienza acquisita, nemmeno una supersoldatessa come Emily Blunt. La quale, dal canto suo, è il centro nevralgico di una sorta di hub in cui affrontare tutorial e gestire potenziamenti.

La contaminazione con i videogame è insomma cucinata a puntino e dà una marcia in più a Edge of Tomorrow. Lo confesso: entrando in sala ero prevenuto e temevo il peggio. Ho dovuto ricredermi, pur non potendo gridare al miracolo.

(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 29/05/2014)