Le Week-End, una commedia romantica vera come la vita

Capita spesso di guardare una commedia romantica e trovarsi di fronte a una trama zuccherosa e scontata, per non parlare delle facili derive comiche (comedy e comic sono cose diverse): uno dei pregi di Le Week-End è che afferma lo spessore e la dignità di un genere fin troppo bistrattato. La chiave di volta, insieme a due protagonisti in stato di grazia, è la sceneggiatura dell’inglese Hanif Kureishi.

Non è solo questione di disegnare personaggi credibili e complessi, né di farli emergere attraverso dialoghi e situazioni lontani anni luce dallo spiegone – elementi che da soli basterebbero comunque a mettere sugli allori uno script. Qui c’è uno scarto in più e cioè la capacità di essere vicini alla vita. Cosa intendo dire? Ora ci arrivo, ma serve un grosso paragrafo di chiarimenti.

Siamo ormai abituati a narrazioni costruite su eventi rilevanti, come se soltanto quest’ultimi avessero il diritto di finire su grande schermo. E allora un film romantico può nascere da situazioni fuori dalla norma (40 anni vergine, Pretty Woman, 50 volte il primo bacio) e il nascente/consolidato rapporto di coppia può essere messo alla prova dalla scoperta di un tradimento: della fiducia (Due single a nozze) come sessuale (Vizi di famiglia). In tutti questi casi gli episodi cardine della trama rappresentano uno scarto significativo rispetto alla routine. Ne vengono fuori storie esemplari, che se ben raccontate sono comunque dignitose in termini di narrazione ma che inevitabilmente si astraggono dalla vita proprio in quanto eccezionali, o perché raccontate come eventi eccezionali anche quando lo sono solo fino a un certo punto (vedi la questione tradimenti).

Le Week-End è di tutt’altra pasta. È come se osservassimo un momento preso a caso negli ultimi dieci anni della relazione fra Meg e Nick (i grandissimi Lindsay Duncan e Jim Broadbent). D’accordo, i due sono in viaggio a Parigi, ma non accade davvero altro che giustifichi il fatto di raccontarci proprio quei giorni e non per esempio quelli di un anno prima o un anno dopo.

Non a caso, dunque, il “nemico” da affrontare non è un evento rilevante come una malattia o un tradimento o un incidente: è il superamento delle sfide poste dalla monotonia, è trovare il modo di dare nuovo slancio alle cose proprio perché non ci sono eventi eccezionali che lo impongono, lo slancio. Anzi, con mossa magistrale lo sceneggiatore tiene in secondo piano l’unico grosso calibro narrativo a sua disposizione, quello legato alla carriera professionale di Nick. Così facendo pennella un racconto incredibilmente vicino alla vita, che ne rappresenta uno spaccato possibile e non invece un momento esemplare.

È per questo che risulta ancora più intensa la stonatura introdotta dal personaggio di Jeff Goldblum, che è scritto e recitato all’insegna di quella straordinarietà che invece era completamente assente dalla pellicola sino al momento del suo ingresso in scena. Il suo impatto sarebbe stato meno vistoso se fossimo stati di fronte a un film diverso. Invece lo sceneggiatore Hanif Kureishi compie un passo falso, tra l’altro non rintuzzato dal regista Roger Michell, che anzi ha la sua parte di responsabilità nella rappresentazione “sbagliata” di Goldblum.

Riserve a parte, Le Week-End ha la forza di un film che nasce dalla vita vera, da una quotidianità che chiede all’amore di ritrovarsi, di compiere uno sforzo. I romanticoni troveranno pane per i loro denti, senza essere conditi via con trovate facilmente zuccherose e, in fondo, irrealistiche.

(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta l’11/06/2014)