Documentari, droga e rock ‘n’ roll

Nel deserto delle uscite cinematografiche di questa settimana, spiccano due documentari che probabilmente non avremmo mai visto su grande schermo se appunto non ci fosse il deserto. Si tratta di Jason Becker: ancora vivo (Jesse Vile, 2012) e Come fare soldi vendendo droga (Matthew Cooke, 2012). Sono prodotti diversissimi, che però offrono un esempio perfetto di una questione centrale per il genere documentaristico e non solo: un conto infatti è avere una storia, un altro è sapere come raccontarla.

Per certi versi il documentario assomiglia a un’inchiesta giornalistica: si tratta di scovare una notizia, verificarla, intervistare testimoni e via dicendo. E in molti casi un documentario viene proposto al pubblico in base alla vicenda che racconta, relegando sullo sfondo le scelte di regia o di montaggio: talvolta perché così vuole il marketing, talaltra perché sono state effettivamente trascurate.

Un caso da manuale è quello di Jason Becker: ancora vivo, storia di un prodigio della chitarra rock che all’età di 20 anni scopre di essere affetto da sclerosi laterale amiotrofica o SLA. È un colpo durissimo: Jason sta finalmente per fare il botto sostituendo Steve Vai nella band di David Lee Roth, e invece gli dicono che il suo corpo andrà incontro a una progressiva paralisi e che gli restano dai tre ai cinque anni di vita. Il trailer, la campagna di lancio e i primi minuti del documentario si preoccupano di raccontare questa premessa e di aggiungere che Jason Backer non è ancora morto e che nonostante sia paralizzato riesce a comunicare e a comporre musica.

È indubbiamente una bella vicenda, che vale la pena di raccontare, ma cosa succede se si esaurisce nell’incipit e quel che resta sono 80 minuti di celebrazione del talento e della vitalità di Jason Becker? Stando a quel che vediamo merita tutte le lodi possibili, sia chiaro, ma all’ennesima testimonianza simile alle altre qualcosa si inceppa. È un problema di struttura e anche di regia e montaggio, cioè di come una storia viene raccontata.

In termini strutturali, ad esempio, è interessante notare l’assoluta marginalità di una frase di mamma Becker, che si interroga sul futuro di suo figlio quando lei e suo marito non potranno più assisterlo quotidianamente: questa preoccupazione avrebbe potuto dare un po’ di respiro al documentario, che invece sceglie di accatastare una lode dopo l’altra e basta. In termini di regia e montaggio, il regista Jesse Vile utilizza immagini di repertorio e interviste fatte ad hoc in modo brutalmente funzionale al resoconto dei fatti, senza provare ad esempio a costruire atmosfere differenti – e non vale il ricorso ai panorami naturali, banali e abusati.

Tutto diverso l’approccio di Come fare soldi vendendo droga. Il messaggio di fondo è che la guerra alla droga ingaggiata dal governo degli Stati Uniti non è soltanto inefficace, è addirittura controproducente: dunque meglio sarebbe liberalizzare il mercato, o quanto meno depenalizzare le droghe sull’esempio del Portogallo. La storia di questo fallimento e l’ipotesi alternativa rappresentano il nucleo della narrazione. L’aspetto interessante è come ci si arriva: il documentario di Matthew Cooke si presenta in tutto e per tutto come un corso accelerato per aspiranti spacciatori, con interviste a gente del mestiere e consigli pratici. C’è anche dell’ironia, per esempio quando compare il cartello “Tip!” in sovrimpressione per sottolineare una dritta da parte dell’esperto di turno.

Di consiglio in consiglio, viene illustrata una scalata al successo in otto tappe, partendo dallo spaccio di quartiere per arrivare al vertice del cartello. Dal punto di vista stilistico, questa ascesa è raccontata insistendo sulla differenza fra le periferie povere e disagiate, riprese con movimenti lenti e morbidi, e il montaggio dinamico e nervoso utilizzato per sviscerare la possibilità di uscire da quella situazione seguendo la strada della droga.

In termini di racconto il risultato è presto detto: il documentario su Jason Becker e quello sulla droga durano praticamente lo stesso numero di minuti, con la differenza che guardando il secondo non ti annoi. Non che sia esente da critiche, ma sono di ordine diverso: ad esempio non viene messa mai alla berlina la cultura dello sballo, a meno che non si tratti di stigmatizzare l’ipocrisia di un governo che vieta la droga ma non l’alcol. Ma se gli Stati Uniti consumano da soli il 40% della cocaina prodotta a livello mondiale, non varrebbe comunque la pena di interrogarsi anche su questo?

Tornando a bomba: entrambi i documentari hanno qualcosa da dire, la differenza è come lo dicono. Jason Becker: ancora vivo e Come fare soldi vendendo droga rappresentano insomma uno spunto per ragionare su una questione vasta, complessa, tutt’altro che secondaria.

(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 02/07/2014)