È un oggetto curioso, Si alza il vento, e per molti versi insolito. Certo, la fascinazione di Hayao Miyazaki per il volo è una costante del suo lavoro e non sorprende che abbia deciso di raccontare la storia di un progettista aeronautico tanto determinato e talentuoso da costruire quello che durante la Seconda Guerra Mondiale fu considerato il migliore caccia del mondo (il protagonista è in parte ispirato a Jiro Horikoshi, personaggio realmente esistito e artefice del celebre A6M Zero).
Ciò che segna uno scarto rispetto alla filmografia precedente è che Miyazaki prende di petto il tema della morte. Non siamo di fronte al delicato presagio di Totoro, o alle battaglie di Mononoke: il taglio è più diretto e struggente. È appunto qualcosa di insolito, se con la memoria passiamo in rassegna i lungometraggi che hanno preceduto Si alza il vento. Come è insolito il racconto del sesso, sebbene non venga mostrato, e la presenza di una natura poco benevola, a tratti ostile, tanto da farsi metafora della condizione umana; nel complesso, è un film talmente originale, all’interno dell’opera di Miyazaki, che verrebbe da pensare all’apertura di una nuova stagione creativa: ulteriore motivo per dispiacersi dell’annunciato pensionamento.
Credo che proprio percorrendo una strada inedita, Miyazaki abbia fatto suo come mai prima d’ora il lavoro di Antoine de Saint-Exupéry, pilota e romanziere per il quale ha sempre dichiarato grande ammirazione. Non mi riferisco tanto al Piccolo principe, quanto a un libro che cristallizza il pensiero di Saint-Exupéry pilota: Volo di notte (1931), storia ambientata durante i primi, pericolosi voli notturni sulle rotte dell’America Latina e incentrata sulle vicende del pilota Fabien, sorpreso da un improvviso uragano che gli strapperà la vita, e su quelle del direttore Rivière, che gestisce l’intero traffico aereo del continente e assiste impotente agli eventi, pur senza rinnegare la necessità dei pericoli corsi.
Un primo indizio della vicinanza tra film e romanzo è che, seppure con toni completamente diversi – epico e virile Saint-Exupéry, poetico e sognatore Miyazaki – entrambi si confrontano con una natura che è cattiva compagna di viaggio, splendida e ammaliante e insieme imprevedibile e spietata. È una natura di fronte alla quale siamo impotenti, sia che si manifesti con un improvviso uragano (Volo di notte) o con un violento terremoto (Si alza il vento). Ed è una natura che nonostante tutto si prova a domare, sfidando l’oscurità più assoluta (Saint-Exupéry) o progettando un aereo capace di sopportare le terribili sollecitazioni dell’aria e del vento (Miyazaki).
La ragione profonda di queste azioni è uno dei centri gravitazionali di entrambi i racconti. A fronte di quali sacrifici è l’aspetto che più li fa divergere, portandoli a essere due facce della stessa medaglia: non alternative, bensì complementari. Ed è qui che si misura quanto il cineasta giapponese abbia fatto propria la “lezione” del romanziere-pilota francese.
C’è un momento, in Volo di notte, nel quale il responsabile dei voli continentali si trova a ragionare per l’ennesima volta sul mondo di cui è parte. Saint-Exupéry riferisce i suoi pensieri in questo modo: «Pensò alle piccole città d’un tempo che sentivano parlare di Isole e si costruivano una nave. Per caricarla con le loro speranze. Perché gli uomini potessero vedere le loro speranze aprir le vele sul mare. Fatti tutti più grandi, tratti fuori di se stessi, liberati da una nave. Lo scopo, forse, non giustifica niente, ma l’azione libera dalla morte. Quegli uomini duravano grazie alla loro nave».
È l’epica del guardare all’ignoto, alla ricerca caparbia di un nuovo limite da raggiungere e superare. Le notti buie e senza stelle che avvolgono i piloti diventano allora metafora di ciò che l’uomo non conosce, contrapposto a ciò che conosce (l’amore, la famiglia) o che crede di conoscere: le rotte aeree, inutili se mancano le stelle e non puoi comunicare con la torre di controllo – per Saint-Exupéry quando vai a scoprire l’ignoto sei per definizione da solo.
Di fronte a tutto questo la morte è un prezzo ragionevole da pagare. Fa parte del gioco alla stregua di un vuoto d’aria o delle mani gelate durante le notti più fredde. È un corollario della grandezza d’animo di chi è tanto coraggioso, o tanto matto, da ritenere che ci sia sempre un limite da valicare, un ignoto da conquistare – non a caso, Antoine de Saint-Exupéry morì precipitando durante una missione che tutti a terra consideravano pura follia.
Anche in Si alza il vento si sfida l’ignoto, sebbene esso abbia un’accezione più pratica, meno metaforica. Si tratta di scoprire ciò che ancora non si sa, cioè come costruire ali e fusoliere capaci di garantire agli aerei una velocità e maneggevolezza senza precedenti. Non a caso dunque il protagonista del film è ingegnere, non a caso al centro dei suoi pensieri ci sono gli aerei e non i piloti. E, ancora non a caso, nessuno di costoro muore durante i voli di prova: nonostante i velivoli vadano in pezzi, riescono sempre a salvarsi grazie al paracadute.
Miyazaki sta insomma guardando l’irresistibile fascinazione per il volo da un punto di vista differente rispetto a quello di Saint-Exupéry. Ciò gli consente non solo di adottare un tono diverso, votato alla poesia più che all’epica: gli offre il destro per affermare una posizione complementare rispetto a quella del romanziere francese. Tutto ruota intorno agli affetti famigliari.
Il direttore Rivière, responsabile del traffico aereo in Volo di notte, sa bene che alla sua verità (andare oltre, accettando nel caso la morte) si contrappone un’altra verità, quella del conforto famigliare, dell’amore caldo e accogliente della moglie del pilota sorpreso dall’uragano. Sono entrambe valide, Rivière ne è convinto, non esiste la possibilità di stabilire una gerarchia. Però sono verità che si negano a vicenda: una si muove all’interno dell’oggi e del futuro prossimo, mentre l’altra guarda all’ignoto a discapito dell’oggi e del futuro prossimo.
Di fronte alla concreta possibilità della morte raccontata in Volo di notte, Antoine de Saint-Exupéry mette in scena l’epica tragica del mondo dei piloti e le ragioni che questo universo si dà per andare avanti. Miyazaki si concentra invece sul dolore all’interno del mondo degli affetti, un contesto meno epico ma non meno eroico. L’ingegneria aeronauta è infatti solo uno dei due centri narrativi di Si alza il vento. L’altro riguarda l’incontro del protagonista con una fanciulla malata di tubercolosi, l’amore che sboccia, il matrimonio che si celebra e il destino di morte che certe malattie si portano inevitabilmente dietro. Ed è proprio di fronte a questa morte, quella struggente che è tanto diversa dai fantasmi di Totoro o dai cadaveri di Mononoke, che Miyazaki si smarca maggiormente da Saint-Exupéry.
Ecco dunque il verso di Paul Valéry che apre la pellicola e che ricompare in alcuni momenti topici: «Si alza il vento!… Bisogna provare a vivere!». Mi piace pensare che in Si alza il vento le improvvise sollecitazioni dell’aria, durante le virate e le picchiate degli aerei, facciano da contraltare alle inaspettate sollecitazioni della storia con la S maiuscola (il terremoto di Kantō del 1923) e a quelle della storia privata e personale del protagonista (la malattia dell’amata). In tutti questi casi bisogna evitare di spezzarsi. Trovare la ragione, prima ancora che un modo, di resistere.
Laddove in Volo di notte si è disponibilissimi a spezzarsi a discapito di un basilare rispetto per la vita, in Si alza il vento si afferma che quest’ultima riserva un monte di brutture ma è al tempo stesso uno scrigno di tesori. Bisogna dunque trovare una strada per superare le avversità e valorizzare i tesori. E se i piloti di Saint-Exupéry inseguono il sogno dell’oltre a tutti i costi, l’eroe di Miyazaki insegue il sogno della bellezza: questa è la sua ragione per non spezzarsi – non a caso il suo desiderio di ingegnere è prima di tutto costruire un aereo che sia bello.
Potremmo dire che è la medesima ragione di Hayao Miyazaki, considerata la forte natura autobiografica della pellicola: come il suo protagonista, anche lui dovette rinunciare a fare il pilota perché miope; sua madre soffrì di tubercolosi; il padre, ingegnere aeronautico, fu direttore della fabbrica di componenti per i caccia A6M Zero. Di fronte alle proprie sollecitazioni personali, quando «bisogna provare a vivere» – ma anche in occasione di prove meno impegnative – Miyazaki risponde sognando bellezza. Talvolta, come accade in alcuni momenti di questo suo ultimo film, dotata di una grazia e delicatezza abbacinanti.
(Questo pezzo è stato pubblicato su Lo Spazio Bianco il 13/09/2014)