Un western dove i cattivi sono i banchieri

All’interno Hell or High Water ci sono uomini tutti d’un pezzo che preferiscono dormire all’aperto piuttosto che nel letto di una locanda. E poi rapinatori di banche, lande desolate e cittadine in cui tutti girano armati. Per molti aspetti si respira aria di western classico, invece siamo nei 2016 e le banche da derubare sono quelle che hanno mandato in malora una nazione: è un’intuizione narrativa potente, che colpisce nel segno e non è affatto gratuita, perché a svilupparla è uno dei migliori sceneggiatori statunitensi in circolazione. Si chiama Taylor Sheridan, è nato attore, ma ha trovato la sua vera vocazione scrivendo film. Hell or High Water (modo di dire per “a tutti i costi”) è la sua seconda sceneggiatura dopo l’ottimo Sicario, ed è la conferma di doti fuori dal comune: perché se è vero che ridotte all’osso le strutture narrative si somigliano tutte, è anche vero che la differenza sta nel come le sviluppi, come dai voce ai temi portanti, come disegni i protagonisti e il contesto nel quale agiscono.

Siamo nel Texas occidentale. Due fratelli rapinano banche scegliendo le filiali più piccole della Texas Midlands Bank e di conseguenza due Texas Ranger si incaricano di indagare: uno di loro è una vecchia volpe prossima alla pensione, l’altro è un nativo americano più giovane, entrambi sono legati da un’amicizia virile fatta di silenzi e battute velenose.
Proprio loro due sono i protagonisti di una scena chiave: avendo compreso che i rapinatori prendono di mira sempre lo stesso gruppo bancario, i Ranger giocano d’anticipo e li attendono presso una filiale che ancora non è stata colpita e che dunque rappresenta un probabile obiettivo. Si siedono all’altro lato della strada, sotto una tettoia di legno, commentando la generale mestizia della cittadina in cui si trovano e la ruvidezza disarmante dei suoi abitanti. A un certo punto, il nativo americano dice: «Centocinquanta anni fa questa terra apparteneva ai miei avi: tutto quello che vedi e tutto quello che hai visto ieri. Poi i nonni di questi bifolchi se lo sono preso. E ora qualcuno lo prende a loro, solo che non lo fa con un esercito». E indicando la banca al di là della strada chiosa: «Sono quei figli di puttana laggiù». L’arcigno collega tace ed è la prima volta che non ha la battuta pronta (osservazione en passant: un abile sceneggiatore sa utilizzare i silenzi).

La scena immediatamente successiva, distante solo uno stacco di montaggio, ci porta in una situazione simile dal punto di vista visivo: ancora una tettoia, con i due rapinatori sotto di essa, che parlano lentamente guardando l’orizzonte: guardie e ladri sovrapposti, quasi fossero intercambiabili, quasi non rappresentassero i buoni e i cattivi, ciò che è giusto e ciò che invece è sbagliato. Non è un caso: Hell or High Water riprende una situazione iconica del genere western per ribaltarne lo statuto e raccontare un mondo dove guardare l’orizzonte non è più un sogno di conquista ma una ricerca di soluzione sul breve periodo, dove non ti affermi misurandoti con ostacoli tangibili ma devi rintuzzare l’offensiva di un’entità astratta. Perché il vero nemico, il potere bancario, è invisibile e subdolo.

Dopo questa scena tutti i pezzi del puzzle di Hell or High Water trovano il loro posto. Persino quello che potrebbe sembrare un dettaglio pittoresco e gratuito, cioè una cameriera accogliente come carta vetrata, assume un senso molto più profondo: Taylor Sheridan racconta un mondo incattivito, dove il senso di impotenza produce un parossismo di egoistica autosufficienza. E che è privo di bambini e giovani, dunque è privo metaforicamente di un futuro, con l’unica, significativa eccezione dei figli di uno dei due rapinatori, motori inconsapevoli dell’intera vicenda.

È una grande storia, quella di Hell or High Water, e merita l’attenzione che sta ricevendo, ad esempio con le nomination ai Golden Globe: miglior film drammatico, miglior attore non protagonista (Jeff Bridges, il vecchio Ranger) e ovviamente miglior sceneggiatura. Il film è già disponibile online su Netflix.

[Questo pezzo è stato pubblicato sul numero di Pagina 99 in edicola il 7 gennaio 2017.]