L’esordio lungo dello statunitense John Krokidas è la storia di come Lucien Carr propiziò il primo incontro fra Allen Ginsberg, Jack Kerouac e William Burroughs. Ma anche no.
Questo è un film sulla Beat Generation che fa a meno della Beat Generation. E che a differenza di quel che vorrebbe farci credere la distribuzione, non è il nuovo Attimo fuggente, nonostante i versi declamati da Lucien Carr in piedi sul tavolo. Giovani ribelli – Kill Your Darlings è una storia di formazione che indaga la sottile differenza fra la ricerca della propria identità e la perdita di sé all’interno di una fuga costante e patologica. Ma questo è un racconto che non ha bisogno di Ginsberg, Kerouac e Burroughs per essere portato su grande schermo.
In parte è anche colpa dei cliché cinematografici in cui cade la regia. Prendiamo ad esempio le dita che battono sulla macchina da scrivere, gli appartamenti fumosi, lo sballo dell’alcol e della droga, la vitalità esuberante: così come li racconta Krokidas sono tutti elementi riferibili agli anni di formazione dei Beat, ma anche a molto altro cinema di ribellione. Non basta un completo anni Quaranta per fare la differenza quando le stesse cose valgono benissimo per un Hunter Thompson a cavallo fra i Sessanta e i Settanta.
Certo, Ginsberg e soci sono venuti prima. Anzi, per certi versi sono stati degli anticipatori. Solo che questa è una consapevolezza che accompagna lo spettatore già prima di entrare in sala, non è figlia di ciò che vediamo su schermo. Il problema è nella rappresentazione del contesto. Kill Your Darlings ci dice che alcuni libri sono proibiti e che la legge consente l’omicidio di un omosessuale per difendersi dalle sue avance. Ma ciò non si traduce in un ambiente opprimente. Così Ginsberg può citare Walt Whitman per sostenere la necessità di una nuova poesia senza che la Columbia University gli si rivolti contro, e anzi ricevendo la stima del suo docente. E sempre Ginsberg può vivere in tutta serenità la sua prima esperienza omosessuale come se la vicenda fosse ambientata decenni più tardi. Tanto che “l’omicidio d’onore” salta fuori non come ennesimo elemento di un contesto ostile bensì come possibile scappatoia giudiziaria in favore di Lucien Carr: è un colpo di scena più che una realtà quotidiana e asfissiante.
C’è un’altra ragione che priva Kill Your Darlings della Beat Generation: manca la rivoluzione letteraria. Ci viene detto che i grandi nemici sono la metrica e la rima e a un certo punto si capisce che i libri proibiti sono tali per la licenziosità dei contenuti. Però questi restano accenni, e come nel caso del contesto narrativo non producono un vero botta e risposta nel confronto fra Vecchio e Nuovo. Di fatto, ciò che vediamo sono Ginsberg, Kerouac e Burroughs che bevono e si sballano. Bastasse questo a fare uno scrittore, qui in Italia continueremmo a non essere patria di santi e navigatori, ma poeti certo sì.
A conti fatti, dal punto di vista narrativo l’istituzione scolastica non rappresenta l’antagonista dei nostri eroi – e qui sta una delle differenze più grandi con L’attimo fuggente. Come ha dichiarato John Krokidas, ciò che gli interessava era “il conflitto cui bisogna sottoporti per diventare se stessi”.
Ecco dunque il film sulla Beat Generation senza la Beat Generation: mentre Kerouac e Burroughs fanno da cornici di lusso, Allen Ginsberg si fa simbolo della necessità di lasciarsi andare per scoprire se stessi e per non essere “la persona che pensano che io sia”. Dal canto suo, Lucien Carr rappresenta il rischio insito nel lasciarsi andare, con una fuga perenne che non porta consapevolezza e che anzi conduce all’omicidio. Entrambi avrebbero potuto chiamarsi in altro modo, senza nomi così importanti; ma visto chi sono, Kill Your Darlings ci informa che Ginsberg diventerà un affermato scrittore, Carr andrà in galera: finale curiosamente conservatore per una pellicola incentrata sui fautori del primo, vero movimento di controcultura negli Stati Uniti del XX secolo.
(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 18/10/2013)