Della volta che, insieme ad Alice Cucchetti, abbiamo fatto il processo al processo. Il nuovo lungometraggio di Aaron Sorkin è confezionato molto bene, soprattutto in termini di scrittura e su questo non si discute: le criticità emergono perché viene ignorato il classico elefante nella stanza. Il processo ai Chicago 7 dimentica per strada l’ottavo imputato, cioè Bobby Seale, e con esso l’intera questione afroamericana. Vale a dire uno dei maggiori nodi irrisolti degli Stati Uniti. Eliminando questo aspetto dal film, Sorkin ha gioco facile nell’affermare la propria fiducia in un sistema dotato di efficaci anticorpi. Così, però, suona un po’ tanto ingenuo. Ed è la migliore delle ipotesi.