Diventare padre grazie a un temporale

Hai presente quel momento in cui ti sorprendi a essere innamorato, o innamorata, di una persona? Non parlo dell’amore a prima vista. Già la conosci, questa persona, già la frequenti e a un certo punto la guardi con occhi diversi. A chi ti chiede come mai, cosa è cambiato rispetto a una settimana prima, non sai rispondere, perché in fondo potresti elencare mille ragioni e insieme nessuna.

Ecco, il cinema di Kore’eda Hirokazu funziona in modo simile: inizi a seguire la storia che ti propone, in qualche modo lui riesce ad affascinarti e a un certo punto scopri di esserti affezionato ai suoi personaggi e di desiderare che le cose vadano loro bene. E non sapresti dire in che momento del film è successo, se è stata una particolare inquadratura o un dialogo o un piccolo gesto buttato lì con noncuranza. Non è così importante capirlo, in realtà: come nel caso dell’innamoramento, ciò che conta è il sentimento. Ritratto di famiglia con tempesta ne ha da vendere, così come accadeva nei precedenti Little Sister (2015) e Father and Son (2013).

La storia è quella di Ryota, uomo che sembra poter guardare la sua vita solo al passato: ex promessa della letteratura (non mantenuta), ex marito, presenza incostante per un figlio che conosce poco. «Non tutti diventano quello che volevano essere», osserva Kore’eda, ma questo non impedisce a Ryota di continuare a cercare una via per la felicità, per quanto maldestra possa essere tale ricerca. E così, complice il violento temporale del titolo, che obbliga tutti a rintanarsi nella casa della vecchia nonna, il nostro protagonista proverà ancora una volta, in modo confusionario e tenerissimo, a essere una brava persona.

A questo punto del film noi spettatori rischiamo di essere già innamorati e sono sufficienti l’oggetto più umile o il gesto più piccolo a farci sorridere d’affetto. Anzi, una scelta formale calcata o uno scarto narrativo forte rischierebbero di rompere l’incanto, e così succedono poche cose, seguite con delicatezza dalla cinepresa. A voler raccontare ciò che si è visto sembra essere accaduto nulla, assistere al racconto ha invece spalancato universi.

Kore’eda Hirokazu, giapponese 54enne, inizialmente pensa di fare lo scrittore, poi sceglie il linguaggio audiovisivo e si fa le ossa in televisione come assistente alla regia di documentari: «Ero assolutamente privo di talento per quel lavoro: ero spesso inutile, sul set, e facevo arrabbiare le persone quotidianamente».

Quando passa dietro la cinepresa si dedica con passione a documentari di stampo sociale, indagando il sistema scolastico giapponese (Lessons from a Calf) o la previdenza sociale (However…) e interrogandosi sin da subito sui «problemi che sorgono quando introduci una telecamera in una situazione reale, compiendo di fatto un’intrusione violenta che crea uno spazio innaturale. È qualcosa di cui il regista e il soggetto ripreso devono essere consapevoli, per poi filmare il nuovo tipo di relazione umana e i nuovi sentimenti che emergono per il semplice fatto che una telecamera si frappone tra di loro».

Credo che questo atteggiamento abbia successivamente nutrito l’attività come regista, sceneggiatore e montatore di film di finzione. Perché – e Ritratto di famiglia con tempesta lo dimostra in modo lampante – Kore’eda non enfatizza, non sottolinea, meno che mai gioca di furbizia: racconta con una grazia straordinaria, con rispetto e attenzione nei confronti dei propri personaggi, mettendosi sempre alla loro altezza e mai giudicandoli dall’alto. Dialogando con loro, verrebbe da dire, consapevoli tutti che una cinepresa è in funzione e che lo spazio in cui agiscono non è reale.

Recensendo il film per conto di Variety, Maggie Lee scrive che la finezza del lavoro di Kore’eda «ci consente di assistere a quei rari momenti liberatori nei quali i personaggi riescono a guardarsi con la massima onestà e a trovare il coraggio di esprimere i loro desideri più profondi, per quanto irraggiungibili». È un’osservazione che ben si presta a chiudere queste note. Resta solo da aggiungere che Hirokazu Kore’eda fa tutto questo con uno spiccato senso dell’umorismo e trasformando la vecchia nonna in una figura comica deliziosa.

[Questo pezzo è stato pubblicato sul numero di Pagina 99 in edicola il 12 maggio 2017.]