Kong, il mostro che si inchina alle regole

Dal punto di vista narrativo Kong: Skull Island non è strutturato male: il problema è che mancano i personaggi e questo non è affatto un buon segno per il proseguo del franchise. Il ritorno su grande schermo del gorilla gigante avviene infatti all’interno di quello che i produttori di Legendary Entertainment e Warner Bros. hanno chiamato il MonsterVerse, vale a dire un universo cinematografico simile per ambizioni a quello dei supereroi Marvel, ma con i mostri protagonisti.

Kong: Skull Island è il secondo film della serie e insieme è il prequel di Godzilla (Gareth Edwards, 2014), che a sua volta ha rappresentato l’esordio ufficiale del MonsterVerse. Se i piani proseguono come previsto, avremo Godzilla: King of the Monsters nel 2019 e Godzilla vs. Kong nel 2020. Tra l’altro, proprio la prospettiva dello scontro con Godzilla giustifica l’altezza del nuovo Kong: nella sua prima comparsa cinematografica, quella del 1933, raggiungeva gli otto metri, misura confermata anche nel remake targato Peter Jackson e uscito nel 2005. Gli attuali trenta metri abbondanti sono necessari per affrontare Godzilla: non ha senso che Kong possa scalare palazzi se il suo avversario è grosso quanto un palazzo.

Da questo punto di vista gli sceneggiatori sono stati accorti, peccato che abbiano tirato i remi in barca quando s’è trattato di fare le cose difficili. La storia è ambientata nel 1973, quando i satelliti statunitensi scoprono una misteriosa isola nel Sud del Pacifico e viene decisa una missione esplorativa. Ne fanno parte un gruppo di scienziati, guidati dallo sconsiderato John Goodman, e una squadriglia di elicotteristi reduci dal Vietnam e comandati dall’irragionevole Samuel L. Jackson. Si aggiungono una fotoreporter pacifista e un cacciatore ex capitano delle SAS, arruolati perché il film ha bisogno degli attori belli (Brie Larson e Tom Hiddleston). Arrivati sull’isola, i nostri eroi scoprono che è abitata da parecchi mostri enormi e pure da John C. Reilly, che incarna la linea comica della pellicola.

Se il riassunto suona brutale è perché i personaggi non vanno oltre questa sommaria descrizione. Il punto è che gli sceneggiatori hanno applicato le regole che presiedono una struttura che funziona, dimenticandosi però di darle sostanza. Decenni di studi teorici hanno perfezionato una serie di strumenti utili a far stare in piedi una trama: sappiamo come far interagire i protagonisti, quali sfide funzionano meglio e persino quanti minuti dedicare alle singole fasi di una vicenda. Non si tratta di incatenare il sacro fuoco dell’arte, bensì di fornire un valido combustibile. Ma, come scrive Robert McKee nel saggio Story, autentica bibbia degli scrittori: «Gli sceneggiatori ansiosi e privi di esperienza obbediscono alle regole. Quelli ribelli e non istruiti infrangono le regole. Gli artisti padroneggiano la forma». Nel caso di Kong: Skull Island siamo di fronte alla prima categoria.

Mi sembra che si spieghi così il fatto che dal punto di vista strutturale la pellicola sta in piedi: ogni elemento narrativo è al suo posto, i vari passaggi sono giustificati e non accusano rallentamenti. Ma, appunto, manca tutto resto, mancano la carne e il sangue intorno allo scheletro. Facciamo mente locale: al personaggio di John Goodman spetta il compito di far arrabbiare Kong. Una volta assolta questa funzione narrativa, perde di interesse per lasciare campo libero a Samuel L. Jackson, incaricato di interpretare l’imbecille che fa tutte le successive mosse sbagliate. Gli fa da contrappeso la coppia cacciatore/fotoreporter, che esiste al solo scopo di fornire a Kong i secondi necessari a riprendersi dopo una prova particolarmente dura. Sono tutti monodimensionali, nessuno evolve, nessuno cambia idea. Ognuno fa quello che è necessario fare per mandare avanti la trama. Poi basta. Così, però, si limitano a essere una funzione narrativa e non invece un personaggio a tutto tondo, con una propria dignità e profondità. Restano la struttura veloce e l’intensità dei combattimenti fra mostri, duri e violenti come non te li aspetti, ma è un po’ poco, considerato che mancano almeno un paio di film al termine del franchise.

[Questo pezzo è stato pubblicato sul numero di Pagina 99 in edicola l’11 marzo 2017.]