Ogni volta che cala la notte, Bruce Wayne indossa il costume di Batman e pattuglia le strade di Gotham City in cerca di criminali. Vuole rendere la città più sicura e questo è un nobile intento, per carità, ed è più che comprensibile il trauma che l’ha portato a indossare il costume da Pipistrello. Ma siamo sicuri che abbia tutte le rotelle a posto? Prima di parlare di Lego Batman – Il film lasciatemi aprire una parentesi e tornare indietro di quasi trent’anni. Nel 1988 venne pubblicato un graphic novel destinato a entrare nella storia, The Killing Joke: nel corso di quarantasei, densissime tavole, uno dei più grandi sceneggiatori di fumetti di sempre (Alan Moore) lasciò intendere che Batman e Joker fossero due facce della medesima medaglia, che entrambi avessero metabolizzato in modo malato i rispettivi traumi originari.
La cosa più sorprendente di Lego Batman – Il film è che guarda negli occhi il precedente autorevolissimo di Alan Moore, interrogandosi in modo esplicito sugli squilibri psicologici di un uomo che si mette la maschera per diventare un giustiziere della notte. Solo che affronta il tema nel modo scanzonato e ironico che è un marchio di fabbrica dei prodotti d’intrattenimento Lego, siano essi gli ormai numerosi videogame oppure quel The Lego Movie (2014) di cui Lego Batman rappresenta lo spin-off.
Ecco dunque il maggiordomo Alfred Pennyworth costretto a trattare Bruce Wayne come quello che è: un ragazzotto che si comporta in modo infantile, vanesio e capriccioso perché in questo modo riesce a indossare una corazza psicologica, una chiusura nei confronti del mondo che è figlia del desiderio di non vedersi più portare via qualcuno al quale vuole bene. Ed ecco anche un’interessante e dissacrante revisione del rapporto fra Batman e Joker, raccontati come una sorta di coppia amorosa nella quale il Pipistrello riveste il ruolo della sanguisuga emotiva, incapace di riconoscere l’importanza dell’altro.
Di risata in risata, Lego Batman può permettersi di far dire al nuovo commissario cittadino, Barbara Gordon: «Nonostante tutte le ottime cose che Batman ha fatto per noi, Gotham continua a essere la città con il più alto tasso di criminalità del mondo». Verbalizzando in questo modo una verità che non potrebbe mai essere pronunciata in qualunque altro film di supereroi. Cioè che la loro stessa ragion d’essere dipende dall’incapacità di risolvere una volta per tutte i problemi che, in prima battuta, ne hanno giustificato l’esistenza.
A pensarci bene, è sorprendente che Lego Batman sia riuscito a mantenersi nel solco della commedia leggera e scanzonata partendo da premesse così corpose. Ma è proprio questo che gli ha consentito di seguire l’esempio virtuoso rappresentato da The Lego Movie, che dava sostanza alle risate facendole scaturire da un percorso di liberazione del protagonista, obbligato a scardinare una gabbia mentale, prima ancora che pratica, e che lo privava di qualsivoglia autonomia di pensiero suggerendogli che uniformarsi in modo acritico fosse la chiave per la felicità.
A differenza della pellicola precedente, che riusciva ad avere maggiore compattezza, Lego Batman perde un po’ di smalto quando imbastisce una trama action un po’ caotica, che tira in ballo l’ennesimo piano diabolico del Joker, cioè la liberazione dei più grandi supercattivi di sempre, per coinvolgere rappresentanti del Male del tutto estranei all’universo dei supereroi. Forse ha remato contro l’abbandono di Phil Lord e Christopher Miller, sceneggiatori e registi di The Lego Movie, sostituiti da cinque sceneggiatori e un regista. O forse si è voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte, facendo convivere nel medesimo film spunti adatti al pubblico adulto e spunti più vicini a quell’accumulo spettacolare che sembra rapire gli occhi dei più piccoli.
Se quest’ultima ipotesi è quella corretta, allora bisogna riconoscere che Lego Batman ha saputo tenere il piede in due scarpe, nonostante gli alti e i bassi. Certo, si tratta nel complesso di un film che a tratti è più furbo che intelligente e che è meno dirompente rispetto a The Lego Movie. Nel contempo, rappresenta comunque un prodotto di intrattenimento per niente stupido e molto ben realizzato. Avercene.
[Questo pezzo è stato pubblicato sul numero di Pagina 99 in edicola l’11 febbraio 2017.]