Nei suoi decenni di onorata carriera, il vampiro cinematografico ha vestito i panni più diversi, dal signore del male all’ultimo dei romantici. Solo gli amanti sopravvivono fa propria la tradizione del non morto sentimentale, raffinato, decadente e per nulla bestiale. Ciò che rende degna di nota quest’ultima incarnazione è il tocco personalissimo del regista e sceneggiatore Jim Jarmusch, uno dei nomi di punta del panorama indipendente a stelle e strisce.
C’è un che di magmatico, in Solo gli amanti sopravvivono, un’atmosfera languida, ipnotica e malinconica che cristallizza un immaginario assolutamente originale rispetto ad altre pellicole vampire. È una questione di stile: di come utilizzi la cinepresa, di cosa chiedi al direttore della fotografia, agli scenografi, agli attori. E di stile, qui, ce n’è da vendere.
Fra le altre cose mi piace sottolineare l’insistenza sui movimenti a spirale, della cinepresa come della puntina sui vinili: una soluzione che per certi versi visualizza il concetto di una vita che non prevede la morte e si ripete per secoli uguale a se stessa. Come, appunto, il movimento della puntina sul vinile: dall’esterno verso l’interno (non il contrario: avrebbe un respiro differente). E una volta terminata la traccia si rimette la puntina all’inizio per assistere a una ripetizione.
Grazie anche a questo tipo di immagini, la domanda sorge spontanea: come fa a non morire di noia un vampiro? La risposta sta nella trama, più che nella regia. Ma prima di arrivare al punto devo partire da lontano.
Tradizionalmente il vampiro cinematografico rappresenta l’anomalia rispetto al sistema, l’elemento che in modi più o meno evidenti minaccia l’equilibrio. Da qui l’insistenza sulla necessità di celarsi agli occhi del mondo e di sottrarsi all’eventuale caccia dei nobili rappresentanti dell’ordine costituito.
Avviciniamoci allora a Solo gli amanti sopravvivono. Il cinema di Jarmusch scava da sempre nella crisi dell’individuo e quest’ultimo film non fa differenza, proponendo uno stimolante ribaltamento rispetto alla tradizione vampira: non c’è più un equilibro da salvaguardare. I due protagonisti non rischiano la morte per mano di un eroico difensore dello status quo: se muoiono lo fanno per colpa di un’umanità irrimediabilmente corrotta, perché di gente col sangue puro ce n’è sempre meno e loro non posseggono gli anticorpi necessari a ripulire un sangue infetto. Ancora una volta, ci si muove verso l’interno di una spirale, solo che a un certo punto potrebbe essere impossibile rimettere la puntina all’inizio del vinile.
Il Sistema rischia di vincere, dunque, ma non grazie ai suoi valori. L’orrore, lo sporco e la devianza non sono più altro-da-noi. Questa volta i vampiri sono l’amareggiato, puro, contraltare di un’umanità allo sbando. E insieme sono il simbolo di una bellezza e cultura in pericolo d’estinzione.
In quest’ultima frase sta la risposta alla domanda “come fa un vampiro a non morire di noia”. Intanto deve imparare a conviverci, ma soprattutto deve abbracciare l’arte e l’amore, o almeno questo è il suggerimento dei due protagonisti. La sfida è dunque ritagliarsi una nicchia di sopravvivenza all’interno di un contesto decaduto – non sono casuali le principali location del film: una Detroit desolata e una Tangeri corrotta, in cui gli sprazzi di bellezza brillano proprio perché si distinguono da un contesto abbruttito.
Solo gli amanti sopravvivono è insomma l’alfiere di un cinema personalissimo e di uno stile per nulla omologato. Merce rara, che vale la pena di esplorare. E poi, cavolo, ma quanto è bella la colonna sonora?
P.S.: scritturare Tilda Swinton e Tom Hiddleston come protagonisti è stata una scelta felicissima.
(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 15/05/2014)