Mattoncini di tutto il mondo, unitevi!

L’aspetto più curioso di The Lego Movie è che il suo inno alla libertà creativa, svincolata dal libretto delle istruzioni, esce nelle sale dopo che il celebre produttore di mattoncini ha ormai imposto la vendita di pezzi sagomati, speciali, fatti apposta per consentire la veloce costruzione di forme arrotondate e particolari. Ma che inevitabilmente hanno irreggimentato il gioco, perché il tettuccio sagomato di un’auto resta tale anche fuori dal suo contesto e hai voglia a utilizzarlo come ramo di un albero.

C’entra nulla con il film vero e proprio? Solo fino a un certo punto; vediamo se riesco a spiegarmi. Intanto, subito alcune coordinate di base: gli sceneggiatori e registi Phil Lord e Christopher Miller (quelli di Piovono polpette) hanno messo insieme un’action comedy divertente e originale. Inoltre, si sono concessi il lusso di rendere molto evidente il loro messaggio politico. Partiamo da qui, facendo un salto indietro nel tempo.

Qualche anno fa, era il 2008, WALL-E ci ha raccontato un mondo in cui il capo politico della Terra era anche il proprietario dell’industria che ne riforniva la struttura consumistica in regime di monopolio. I consumatori, acriticamente, erano pronti a modificare a comando il colore dei loro vestiti, senza mai porsi domande di sorta. The Lego Movie disegna un contesto simile, in cui gioisci se il caffè costa un occhio della testa perché le istruzioni per vivere ti dicono che è giusto così, e che il caffè va acquistato a prescindere. Mentre però WALL-E spostava subito l’attenzione verso un’altra storia, meno critica e severa nei nostri confronti, The Lego Movie mette queste problematiche al centro della narrazione. Ed ecco che ancora una volta potere economico e politico coincidono, ma in questo caso la figura di Lord Business (nomen omen) assurge ad antagonista di un percorso di liberazione dalle maglie di una gabbia che ti dice cosa fare e quando farlo, privandoti di qualsivoglia autonomia di pensiero.

C’è di più, perché il salvatore degli oppressi non è un eroe come Batman, o Gandalf o un altro personaggio fuori dalla norma: è un uomo qualunque, un operaio. Verrebbe da dire «mattoncini di tutto il mondo unitevi», anche se il vento che soffia su The Lego Movie sa di anarchia più che di socialismo. Poi, ovvio, questo non è un film a tesi in modo smaccato, né vuole essere l’alfiere di una rivoluzione, ma è anche vero che il sottotesto politico è esplicitato con grande forza.

Per certi versi, la lotta contro il conformismo investe anche l’aspetto estetico della pellicola, perché l’impostazione di base prende le distanze dalla tendenza dominante a inseguire la perfezione e la pulizia visiva dei prodotti Pixar – lo dico qui, a scanso di equivoci: fino a Toy Story 3 Pixar ha strameritato l’entusiasmo e le lodi ricevute. Il confronto che sto facendo non implica una critica, propone un metro di paragone.

Dove The Lego Movie mostra la corda è nell’incapacità di abbracciare pienamente le conseguenze del proprio discorso. A fronte di questa lotta per la libertà, stona un po’ la convenzionalità della struttura narrativa, così come salta all’occhio l’assenza di un furore veramente anarcoide come quello visto nell’immortale cortometraggio Duck Amuck (Chuck Jones, 1953) o anche nei lungometraggi ‘ibridi’ Fuga dal mondo dei sogni (Ralph Bakshi, 1992) e Chi ha incastrato Roger Rabbit (Robert Zemeckis, 1988).

Probabilmente questo dipende dall’inserimento della questione genitoriale, con il contrasto fra adulto (strutturato) e bambino (libero). Senza questo elemento, che però aggiunge uno stimolante livello di lettura, The Lego Movie avrebbe potuto essere più folle, spiazzante, radicalmente svincolato dal libretto di istruzioni. Sarebbe insomma stato più simile alle confezioni di LEGO vendute una trentina di anni fa: nessun pezzo vincolante, totale libertà di gioco.

(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 26/02/2014)