C’è una parte di cinema statunitense che ha chiaramente un problema con la vecchiaia, e Last Vegas conferma una tendenza già presente in pellicole come Red, I mercenari o Il grande match, film dagli esiti anche molto diversi – e a conti fatti Last Vegas sa strappare qualche risata ed è perfetto per mettere il cervello in folle – ma tutti con un minimo comune denominatore: non importa se sei un vecchio bacucco, potrai permetterti tutto quello che fanno i ragazzini, anche di più. Ma solo se sei un uomo, perché alle donne spetta un destino ben diverso ed è già un miracolo se arrivano agli ‘anta.
Il risultato più eclatante, sul fronte dei maschietti, è che la vecchiaia scompare. Certo, gli attori possono avere rughe e capelli bianchi e persino, ma solo nei primi minuti di film, qualche acciacco. Però arriva sempre un momento in cui gli anziani smettono di essere tali. Nel senso che agiscono esattamente come se avessero il vigore di un ragazzino. Di più, agiscono come se fossero ragazzini.
Si spiega così il party imbastito dai protagonisti di Last Vegas, incarnazione di un immaginario da videoclip dove divertimento fa rima con suite da milionari, musica a palla e una quantità di sconosciuti che ti ammira per il potere economico che dimostri. C’è persino una fanciulla pronta a spogliarsi e offrirsi al padrone di casa, che era vecchio ad inizio film, ma che ormai ci viene raccontato come un giovanotto capace di far festa più di 50 Cent. Il quale, grazie a un breve cameo, viene escluso in malo modo da quello che in fondo è il suo ambiente ideale solo perché vittima di un desiderio da vecchio, cioè andare a dormire a un’ora decente. Tempo 60 minuti di pellicola e gli anziani sono diventati più giovani dei giovani.
Questa metamorfosi avviene in barba a uno sviluppo coerente dei personaggi e della storia, perché il megaparty non ha nulla a che vedere con le vite dei protagonisti, con le condivisioni che hanno cementato la loro amicizia, al di là di screzi, distanze, incomprensioni. Se Last Vegas avesse accolto la vecchiaia, la festa avrebbe riguardato una bottiglia di liquore, quella che i quattro rubano da giovani, quella che ricompare nel corso del film senza mai diventare il centro della vicenda e restando invece un semplice contrappunto. E l’eventuale party da videoclip sarebbe stato quello di 50 Cent.
Ciò a cui assistiamo è invece la celebrazione di quattro personaggi che esistono in contrasto agli anni che passano, esattamente come succede ai pugili del Grande match, agli agenti segreti di Red o ai militari dei Mercenari – dove, non a caso, sono i giovani del gruppo a morire sotto i proiettili nemici, mentre i vegliardi paiono invulnerabili.
Va da sé che questa non è la tendenza di tutto il cinema statunitense, che per esempio ci ha appena regalato Nebraska. È però vero che comincia a essere una caratteristica troppo frequente per passare inosservata. Forse dipende da ragioni meramente economiche, perché è più semplice vendere un prodotto se puoi contare su star affermate. Oppure è il sintomo di un atteggiamento più profondo, come se un mondo in decadenza (quello hollywoodiano) si rifiutasse di fare i conti con la realtà. O ancora, i conti li sta facendo e ci regala i fantasmi di un immaginario incapace di rinnovarsi.
(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 21/01/2014)