Hunger Games: meno male che c’è Jennifer Lawrence

La femminista del nuovo millennio è tornata: La ragazza di fuoco, secondo capitolo della saga di Hunger Games, riporta su grande schermo il personaggio di Katniss Everdeen, che quando fece il suo debutto cinematografico, nel 2012, spinse alcune commentatrici statunitensi a incoronarla alfiere del femminismo.

Il discorso portato avanti un anno fa concentrava l’attenzione sui modelli femminili proposti dagli adattamenti cinematografici di romanzi per ragazzi. Inevitabilmente, il confronto cadeva sull’eroina di Twilight, accusata di limitarsi a scegliere fra due uomini. Non che il triangolo amoroso occupi un posto irrilevante nelle vicende di Hunger Games, ma il personaggio di Katniss avrebbe qualcosa in più. Nello specifico, dicevano le sostenitrici, ciò che ne farebbe una femminista non sarebbe tanto che tiri con l’arco meglio di Robin Hood, né che si faccia valere nel confronto diretto con i maschi: il fattore determinante sarebbe che riconosce la forza nelle altre donne ed è capace di creare legami di solidarietà con esse. Vedi il caso della piccola Rue, tributo dell’undicesimo distretto e abilissima scalatrice.

È possibile affermare la stessa cosa anche per La ragazza di fuoco? Per certi versi sì, e non a caso proprio la vicenda di Rue occupa un ruolo importante nella prima parte del film. È però innegabile che le alleanze al femminile siano meno determinanti per lo sviluppo della trama, soprattutto perché avviene quasi tutto all’insaputa di Katniss. Nel primo Hunger Games lei è l’artefice del proprio destino, prima offrendosi come tributo al posto della sorellina e poi tornando a casa viva, anche grazie al suo lato femminista. Nel secondo capitolo della saga è invece obbligata a partecipare ai Giochi e fino alla fine non si rende conto di essere al centro di un complotto rivoluzionario. Quasi tutto ciò che le accade non lo determina lei: lo decidono le persone che le ruotano intorno. Cosa le rimane, dunque? Maturare come personaggio, facendo i conti proprio con ciò che non controlla.

Sulla carta La ragazza di fuoco è una sorta di ponte che prepara gli eventi che chiuderanno la storia (il terzo e ultimo romanzo della serie sarà adattato in due distinte pellicole, una prevista a novembre 2014, l’altra a novembre 2015). E sempre sulla carta, il motore centrale della pellicola dovrebbe essere l’evoluzione della protagonista. Però qualcosa si inceppa.

In un mondo ideale, un film è il prodotto dello sforzo comune di attori, registi, sceneggiatori e troupe. In questo caso, invece, Jennifer Lawrence tiene in piedi la pellicola da sola, e il fatto che ci riesca non cancella il problema di fondo.

Prendiamo un esempio emblematico, quando Katniss si accascia al suolo devastata dall’ennesima prova degli Hunger Games (c’entrano dei volatili). Il primo piano sul volto di lei segna uno scarto nettissimo rispetto al tono generale del film. Improvvisamente ti rendi conto che questa non è la storia di una tipa tosta e basta: in ballo ci sono molta più violenza e sofferenza.

Domanda: non è che Jennifer Lawrence va per i fatti suoi fregandosene delle indicazioni del regista e infilando nella vicenda qualcosa che non è previsto che ci sia? In realtà no: durante il tour promozionale tutti quanti si sono prodigati in affermazioni serissime sul nocciolo della Ragazza di fuoco. È stato sottolineato da più parti quanto sia spietata la reazione del regime, una volta compreso il pericolo rappresentato da Katniss. E molte dichiarazioni sono state dedicate all’evoluzione della protagonista, che da un lato fatica ad accettare il ruolo di scintilla della rivoluzione e dall’altro deve affrontare gli scossoni della sua vita sentimentale: infatti la vecchia fiamma Gale, che non ha provato sulla sua pelle il trauma degli Hunger Games, non riesce a starle accanto come invece fa Peeta.

Non è che tutto questo non si veda, su grande schermo: è che manca l’intensità, quasi fosse un elemento accessorio. Alla prova dei fatti, sceneggiatura e regia si preoccupano soprattutto di incalzare la protagonista con una sfida dietro l’altra, inseguendo una logica da rullo compressore che lascia poche occasioni per ciò che solo a parole tutti inseguivano: l’evoluzione del personaggio.

Il primissimo piano che chiude La ragazza di fuoco certifica che alla fine Katniss accetta di essere il simbolo della rivoluzione. Un esito che se dipendesse solo da Francis Lawrence (regista) e Simon Beaufoy (sceneggiatore insieme a Michael Arndt) si spiegherebbe in un unico modo: le hanno rotto le scatole tantissimo e di goccia in goccia hanno colmato la misura. Se resta traccia del travaglio interiore che precede la decisione, questo è merito di Jennifer Lawrence. C’entra nulla col femminismo, ma con il girl power un po’ sì.

(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 01/12/2013)