La La Land, un sogno a ritmo di jazz

C’è un aneddoto che aiuta a rivelare il cuore pulsante di La La Land. L’ha raccontato il produttore Marc Platt durante il Festival di Venezia 2016, dove il film è stato mostrato per la prima volta a pubblico e critica. Riguarda il trentaduenne Damien Chazelle, che di La La Land è sceneggiatore e regista e che in quel momento era già considerato una delle voci più originali del cinema statunitense contemporaneo, grazie al suo primo film (Guy and Madeline on a Park Bench) e soprattutto grazie a Whiplash, che è stato un enorme successo.

L’aneddoto riguarda l’ultimo giorno di riprese: si gira in esterni, senza luci artificiali, perché mancano giusto una manciata di inquadrature di contorno. A un certo punto il sole cala, arriva la notte e Platt si avvicina a Chazelle per congratularsi con lui. Quest’ultimo, che ha preso in mano la cinepresa in cerca di un nuovo punto macchina, lo guarda e dice: «Ora giriamo qualcos’altro». «Damien», risponde Platt, «penso che sia arrivato il momento di appoggiare la cinepresa: il film è terminato e non c’è più luce. Lui mi ha guardato con un’immensa tristezza negli occhi e, riluttante e lentamente, mi ha consegnato la cinepresa». Questo aneddoto racconta il tipo di passione che ha animato Chazelle e racconta anche il tipo di storia contenuta nel film.

I protagonisti di La La Land sono due artisti in cerca della loro occasione a Los Angeles: Mia (Emma Stone) lavora come cameriera in un bar mentre partecipa a un provino dietro l’altro inseguendo un ingaggio come attrice che non arriva mai; Sebastian (Ryan Gosling) è un pianista che fatica ad accettare gli enormi compromessi che il panorama musicale chiede a qualcuno come lui, animato da profonda ammirazione per l’ostico free jazz. Mia e Sebastian si incontrano, si innamorano e continuano a perseguire il proprio sogno sostenendosi a vicenda, pur fra alti e bassi e con la tentazione di abbandonare tutto e di «crescere», quasi i propri desideri di affermazione artistica fossero effimeri e immaturi. Va da sé che Damien Chazelle la pensa in modo diametralmente opposto.

Per certi versi, la sua storia è quella di un giovane arrivato a Hollywood con la voglia di fare qualcosa di lontanissimo da ciò che va per la maggiore. La sceneggiatura di La La Land la scrive infatti mentre studia cinema ad Harvard, nel 2010. L’idea è di recuperare il musical classico, però con il jazz. Manco a dirlo, i produttori non ci pensano proprio a finanziare un progetto di questo tipo: il musical gode di fortune alterne, ma non è certo una gallina dalle uova d’oro; inoltre, Chazelle vuole utilizzare musica originale, dunque non c’è nemmeno la possibilità di sfruttare le potenzialità commerciali di brani già conosciuti dal pubblico; infine, la musica in questione è jazz, che, pur non essendo free jazz duro e puro, è comunque un genere considerato inadatto al grande pubblico. Tanto che, per esempio, qualcuno propone a Chazelle di trasformare il protagonista in un musicista rock. Lui insiste e alla fine ottiene i finanziamenti per La La Land, complice anche il successo di Whiplash, che tra l’altro conquista il pubblico pur essendo infarcito di jazz in 7/8.

È difficilissimo agguantare il proprio sogno cedendo a pochissimi compromessi e credo che si spieghi così l’aneddoto raccontato dal produttore Marc Platt, con un regista che non vuole terminare il film perché non vuole smettere di vivere un momento che, guardato con un minimo di realismo, ha del miracoloso e che rappresenta in fondo un’eccezione rispetto alla sorte di molti che ci provano e falliscono. La La Land può piacere o meno (a me è piaciuto), ma è innegabile che in ogni inquadratura traspare il genuino entusiasmo di Damien Chazelle.
Un esito forse inevitabile se consideriamo come lui declina le logiche del musical, cioè facendo dei canti e dei balli i momenti in cui i personaggi si rifugiano in un ideale più bello e ottimista rispetto alla cruda realtà. Sempre durante il Festival di Venezia, Emma Stone ha pronunciato una frase che chiude perfettamente il cerchio: «Penso che oggigiorno i giovani abbiano ceduto al cinismo, deridendo ed evidenziando i difetti di ogni cosa. Questo film è esattamente il contrario ed è stata una gioia immensa farne parte».

[Questo pezzo è stato pubblicato sul numero di Pagina 99 in edicola il 28 gennaio 2017.]