La vera sfida di Rogue One

Due sfide attendono Rogue One: A Star Wars Story. La prima è incassare abbastanza denaro da ripagare l’investimento iniziale di 200 milioni di dollari, lasciando un margine corposo in favore dei film che seguiranno, primi fra tutti quelli dedicati a Han Solo e al cacciatore di taglie Boba Fett. Le previsioni sono incoraggianti: per quanto nessuno si aspetti un box office paragonabile a quello di Star Wars – Il risveglio della Forza (2015), che ha superato i 2 miliardi di dollari, gli analisti prevedono che nella peggiore delle ipotesi i guadagni del primo weekend di programmazione si attesteranno intorno ai 380 milioni di dollari. La sfida più importante è però un’altra: Rogue One entrerà davvero nella storia se sarà in grado di stabilire solide basi per una nuova idea di franchise cinematografico.

Facciamo un passo indietro nel tempo fino al dicembre del 2012, quando la Disney completa l’acquisto di Lucasfilm da George Lucas, assicurando al creatore di Star Wars una pensione dorata e sottraendogli il controllo della propria creatura. Tre anni più tardi J.J. Abrams sforna come regista e co-sceneggiatore Il risveglio della Forza, riportando in scena alcuni dei personaggio più amati della saga (Han Solo, Leia Organa, Luke Skywalker) e creando quello che il mio amico Claudio ha definito un “comfort movie”: un film che abbandona le invenzioni narrative della seconda trilogia, poco amate dai fan, e rimette al centro della trama ciò che ha dato al franchise il fascino di cui gode. In soldoni: niente Jar Jar Binks e spazio all’addestramento di una nuova generazione di Jedi e di Sith. Il risveglio della Forza lavora sulla nostalgia, ribadisce le coordinate di un universo narrativo senza provare a espanderle.

È un lavoro portato avanti con abilità e coerenza, ma è anche un lavoro che restringe l’ambito di manovra: per quanto George Lucas fosse criticabile, e lo era, la sua seconda trilogia aveva allargato il campo, introducendo nuovi mondi e nuovi personaggi. Questo è esattamente il compito di Rogue One, che non è solo la storia di come i Ribelli sono entrati in possesso dei progetti della Morte Nera negli anni immediatamente precedenti i fatti raccontati in Guerre Stellari (1977). È soprattutto un racconto privo di Jedi e in cui tutti i personaggi sono delle new entry, con l’eccezione notevolissima di Darth Vader. Una pellicola che vuole avere un tono diverso da Il risveglio della Forza, più cupo, meno giocato sull’alternanza tra azione e commedia. Basta fare caso alla campagna promozionale, in cui non c’è traccia di un personaggio paragonabile al simpatico robottino BB-8, mentre al centro di tutto abbiamo l’immagine di una guerriera che insegue barlumi di speranza in un mondo che ne offre pochissimi.

Apriamo una parentesi: J. J. Abrams, che fa parte del gruppo creativo dietro il nuovo franchise di Star Wars, ha recentemente prodotto 10 Cloverfield Lane (thriller fantascientifico ambientato in un bunker antiatomico) e l’ha presentato come il sequel di Cloverfield (2008). Le due pellicole adottano soluzioni formali agli antipodi, raccontano storie scollegate l’una dall’altra, con personaggi e contesti differenti. Fatte le dovute proporzioni, la vera sfida di Rogue One è di essere il 10 Cloverfield Lane dell’universo di Star Wars, cioè approfittare dell’appartenenza a un franchise in chiave promozionale, ma concedersi quanta più libertà creativa possibile. È chiaro che il film non può forzare i paletti che identificano una saga come invece ha fatto 10 Cloverfield Lane, perché le cifre investite e le aspettative sul futuro sono di tutt’altro tipo.

Può però spostarli, quei paletti, e può farlo sul grande schermo, dimostrando che non è necessario utilizzare la televisione come contenitore per le produzioni eccentriche rispetto alla norma, soluzione adottata da Marvel nel caso di Daredevil o Jessica Jones. Tutto dipende da come reagiranno gli spettatori: se accetteranno di buon grado gli scarti narrativi e formali rispetto al Risveglio della Forza, allora Rogue One potrà entrare nella storia. Paradossalmente, questo consentirebbe al “fantasma” di George Lucas di rientrare dalla finestra, perché l’invenzione tornerebbe a primeggiare sulla ripetizione del format: il pubblico andrebbe incontro a rischi maggiori, ma le incognite sono migliori delle fotocopie.

[Questo pezzo è stato pubblicato sul numero di Pagina 99 in edicola il 17 dicembre 2016.]