Noi, Zagor: raccontare l’eroe a fumetti e i suoi fan

Creato da Sergio Bonelli e Gallieno Ferri nel 1961, Zagor è una colonna del fumetto italiano, capace di invecchiare benissimo e di conquistare nuovi lettori nonostante la crisi generale del mercato. Riccardo Jacopino (regista, sceneggiatore, montatore) gli ha dedicato un documentario che sarà nelle sale italiane il 22 e 23 ottobre.

Mi racconti come è nato Noi, Zagor?
Nasce dal mio amore per i fumetti e dal cinquantenario di Zagor, che era nel 2011. Io ho elaborato il progetto in tempi utili per uscire durante i 50 anni, ma purtroppo in quel periodo Sergio Bonelli stava male e non potevo iniziare senza il suo assenso: lui era il creatore ed editore. Così sono trascorsi alcuni mesi di silenzio, poi a settembre del 2011 mi è arrivata notizia che potevamo partire. Ormai non eravamo in tempo per il compleanno, ma è stato quasi meglio, così non abbiamo dovuto correre e anzi alla fine la lavorazione è durata due anni.

Noi, Zagor esce in duecento sale: è un numero notevole, soprattutto per un documentario. Per dire, Santo GRA ne ha avute molte di meno.
Duecento sale è una gran cosa. Vuol dire che il documentario comincia finalmente ad avere una dignità diversa da quella che ha avuto finora in Italia. Basta anche pensare a Sacro GRA, che ha vinto a Venezia. Però una distribuzione massiccia mi fa sentire una certa responsabilità, perché Sacro GRA ha dovuto conquistare il Leone d’Oro per essere distribuito, oltretutto in meno sale. Noi, anche grazie al pubblico degli zagoriani, stiamo tentando una vera e propria avventura.

Chi sono gli zagoriani?
Sono una tribù variopinta e variegata: ho incontrato direttori di banca, carabinieri, disoccupati… a uno un giorno ho chiesto cosa fai di mestiere e lui mi ha risposto sono ultrà dell’Inter. È una tribù fatta di tante persone, molte intorno ai 45-50 anni, ma ho incontrato anche lettori di 17 anni, perché Zagor è uno dei pochi fumetti in Italia che non perde lettori e anzi ne acquista. È una tribù di persone che sono fiere di questo loro eroe, sono consapevoli che è la loro parte infantile a venire sollecitata e ne sono compiaciuti. È come se ti lanciassero una sfida: sì, a noi piace Zagor, e allora?

In alcuni momenti del documentario sembra che tu abbia voluto sperimentare un’ibridazione fra il linguaggio cinematografico e quello del fumetto. Come hai gestito questa cosa?
La prima sfida di Noi, Zagor è stata quella di mantenere un ritmo narrativo che non stancasse nonostante il documentario sia fatto di racconti e di tavole di fumetti. Superato questo scoglio mi sono divertito a rifare la regia dentro le tavole, a soffermarmi su volti e dettagli che solitamente si perdono nel flusso della lettura e che magari noti solo quando rileggi una seconda volta. È stata anche l’occasione per sottolineare la grande accuratezza del fumetto bonelliano.

Dopo aver raccontato il lungo dietro le quinte di Zagor, ti è venuta voglia di raccontarne altri, di backstage dei fumetti?
Certo, ovviamente. Qualche idea c’è, ma adesso è un po’ prematuro parlarne.

Ho interrogato qualche profano e ne ho ricavato l’impressione che chi non conosce Zagor lo consideri un po’ “vecchio”, come se non avesse molto da dire oggi. Però tu parli di lui come una sorta di mediatore culturale, e nei primi minuti del documentario ci viene mostrata una tavola in cui si parla di usare la violenza solo quando non ci sono alternative e sempre facendosi guidare da un forte senso morale. Credi dunque che Zagor abbia molte cose da dire anche oggi?
Certo. Zagor è figlio della personalità di Sergio Bonelli e tutti coloro che l’hanno conosciuto raccontano di una persona che viaggiava molto, si faceva molte domande, voleva andare a fondo delle cose e tutto questo l’ha trasmesso a Zagor. In effetti, a Darkwood vivono pellerossa, colonizzatori bianchi e poi ci arrivano gli alieni, i vichinghi, insomma tutti i cattivi possibili e immaginabili prodotti dalla letteratura e dal cinema. E lui non affronta mai questi avversari in maniera cieca, tipo: arrivo e ti distruggo così ti levi di torno. È animato sempre da una sorta di pietas, cerca di capire anche le ragioni del mostro. Nella foresta di Darkwood, che potremmo paragonare a una delle giungle urbane in cui noi abitiamo oggi, Zagor è uno che fa il mediatore culturale: ditemi voi se c’è una figura più nuova e attuale di questa.

(Questo pezzo è stato pubblicato su Linkiesta il 23/10/2013)